Sono vecchio, vecchissimo, un centenario, e al tempo stesso giovane, giovanissimo, un adolescente, talvolta persino un bambino. L’età non conta nulla nel mio caso, è soltanto un numero privo di senso. Come tutti i numeri, del resto. Della vecchiaia ho la stanchezza, la spossatezza mortale che precede l’ultimo respiro, della giovinezza il radicalismo, l’intransigenza, l’idealità, la totale incapacità di ridere, anzitutto di se stessi, del proprio dramma individuale, forse persino l’egocentrismo. Sono fuori del tempo, un grumo di purissimo essere che in sé tutto contiene e resiste in precario equilibrio soltanto perché vita e morte, esistenza e autodistruzione ancora si bilanciano. Miracolosamente, mi verrebbe da dire.